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In casa di amici, una domenica napoletana di alcuni giorni fa… mi ritrovo a guarda un gruppo di fotografie analogiche dagli anni venti agli anni settanta del Novecento. Una quarantina… Sono un regalo degli amici che ospitano me e Piero. Ne propongo una, con la quale ho “giocato” lì, in casa loro, mentre esploravo, immaginavo, sentivo. A seguire alcune riflessioni.

Si tratta di una delle immagini di cui la famiglia di questi amici ha perso memoria… È sempre un dispiacere? Non lo penso più…

Loro, i personaggi ritratti durante un matrimonio, ci sono stati nel proprio presente e continuano a corrispondere con il nostro eventuale sguardo, rimediati… Lo sarebbero comunque: anche sapendo i loro nomi e le loro storie, in modo evocativo, o approssimativo, o con tanti dettagli, rimarrebbero “sconosciuti”. Continuano però a parlare gli sguardi, le posture, gli abiti, il comporsi per la posa e tanto altro; e tutto questo può diventare memoria collettiva e loro stessi possono essere amati più di allora

Il pavimento originale è dello stesso periodo della foto e con i suoi meravigliosi circolari “arabeschi” restituisce la metafora di vite come cerchi, che si allargano intrecciano chiudono su se stessi, si spezzano, come in una danza, rivelando nodi, incontri, separazioni, ricongiungimenti allontanamenti. Al tempo stesso i motivi decorativi si “sposano” letteralmente con la giornata di festa per le nozze.

Il moto, a ben vedere, è sempre circolare.. In quel presente, come nel nostro, si sta più spesso su una giostra dal moto circolare.

“Sono per te Letizia, non sappiamo più chi siano… Non lascio passati sconosciuti, magari ingombranti, a nostra figlia. Meglio liberarli alla circolazione e agli immaginari collettivi”…

Grazie… Forse c’è del buon senso!